mercoledì 7 aprile 2010

Economia globale e crisi in Asia

La crisi globale degli ultimi due anni ha colpito anche le economie asiatiche attraverso il commercio e gli investimenti, più che per il contagio finanziario. Inizialmente con una forte contrazione della domanda esterna proveniente dagli USA e dall’ Europa che ha provocato una flessione nelle esportazioni e nella crescita economica ad eccezione della Repubblica Popolare Cinese nella quale gl’ investimenti esteri diretti sono continuati a crescere nel 2008, anche se a ritmi più lenti rispetto al 2006-2007. Tuttavia, nel 2009, tutti i paesi dell'Asia orientale, tra cui la Repubblica popolare cinese, a fronte di flessioni dell’afflusso di investimenti diretti, hanno adottato pacchetti di stimoli fiscali, coordinando le risposte politiche a breve termine della crisi. A più lungo termine, i paesi della regione hanno convertito le loro strategie di crescita verso l’incremento della domanda regionale e nazionale alleggerendo la dipendenza dalla domanda di esportazioni verso il Nord America e l’Europa. In questo contesto, la cooperazione regionale e l'integrazione tra paesi limitrofi hanno assunto un’importanza maggiore. Nel commercio e negli investimenti le politiche d’integrazione orientate dal mercato, hanno permesso alle economie dell'Asia orientale d’integrarsi sempre di più a partire dalla metà degli anni 1980 anche se a tutt’oggi esistono ancora ampli spazi di manovra. Da questo punto di vista l’ "East Asian Miracle" è stato ampiamente attribuito alla trasparenza dell'Asia orientale nel commercio estero con regimi di investimento più aperti. Seguendo il modello export-led del Giappone degli anni 1950 e 1960, l’ economie di recente industrializzazione (le cosiddette Tigri asiatiche) di Hong Kong, Cina, Singapore, Corea del Sud e Taiwan hanno sviluppato prodotti per l'esportazione. L'accordo del Plaza del 1985 ha visto la forte rivalutazione dello yen giapponese e ha permesso alle cosidette Tigri asiatiche di accelerare le loro esportazioni di manufatti ad alta intensità di lavoro nel quale il Giappone stava perdendo il vantaggio comparato. Entro la fine degli anni 1980, queste economie, a loro volta, hanno iniziato a perdere competitività a causa del costo del lavoro in crescita, e ai tassi di cambio, per questo il vantaggio competitivo si è trasferito ai paesi vicini. Il gruppo ASEAN4 (Indonesia, Malaysia, Filippine e Thailandia) hanno risposto positivamente agli investimenti provenienti dal Giappone e, a loro volta, hanno liberalizzato i loro investimenti all’estero e le politiche commerciali. Risultati eccezionali si sono avuti nelle esportazioni di manufatti, in particolare nel campo dell'elettronica. I paesi vicini orientati al percorso pro-esportazione sono la Cambogia, la Repubblica democratica popolare del Laos, Myanmar e Vietnam (CLMV). Alcune economie (Thailandia, Corea, Indonesia, Malesia e Filippine) sono state più colpite di altre, ma va osservato che non hanno ricorso al protezionismo e hanno continuato a mantenere politiche commerciali aperte, liberalizzando i loro regimi di investimento nel 2008. Tre sono state le priorità della loro politica commerciale: la liberalizzazione commerciale unilaterale, la liberalizzazione nell'ambito dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC), e la priorità regionale. Gli economisti sostengono che la liberalizzazione unilaterale migliora l'efficienza di un'economia e la competitività ed è sicuramente preferibile al bilateralismo e regionalismo in quanto non dispone di risorse che distorcono il commercio. In Asia orientale, Hong Kong, Cina e Singapore sono le tre economie con lo stato più avanzato di liberalizzazione unilaterale del commercio e dei regimi di investimento. Tale positiva scelta, che non è nella norma, ha portato nella quotidianità i governi a confrontarsi con i settori economici meno competitivi e i gruppi di pressione che chiedono più protezione. Va notato che, mentre la liberalizzazione unilaterale migliora l'efficienza interna e la competitività, non vi è alcuna garanzia di un accesso indiscriminato ai mercati del mondo, che sono sempre più oppressi da accordi commerciali con regole discriminatorie. Sotto l'Asia-Pacific Economic Cooperation's (APEC) la liberalizzazione e il regionalismo aperto, su base volontaria e unilaterale è stata incoraggiata, anche se poi nella prassi è abbastanza evidente che i membri dell'APEC hanno stipulato accordi di libero scambio bilaterali e plurilaterali tra di loro nonché con i paesi terzi dell'APEC. Il trend rimane povero per l'agricoltura e la liberalizzazione dei servizi. Il Doha Round, lanciato con molto ritardo nel dicembre 2001, è in grave pericolo di sopravvivenza e molti paesi hanno preferito accordi bilaterali e regionali. Il rischio è che troppi accordi possono emarginare i paesi periferici, con mercati di piccole dimensioni. Altro settore con un interessante sviluppo è quello degli investimenti all'estero per acquisire l'accesso diretto alle forniture di risorse naturali, come petrolio e gas in Brunei e Indonesia a costi inferiori a quelli domestici. A questo punto diventa prioritaria l'efficienza per poter concentrare la produzione e approfittare dei fattori locali favorevoli come il lavoro, le competenze, la tecnologia o le infrastrutture logistiche. Questo trend di sviluppo economico ha permesso a due paesi dell’area (Cina e India) d’inserirsi con forza in una lista di paesi emergenti a forte sviluppo denominata BRIC (Brasile,Russia, India e Cina) e prossimamente nel giro di qualche anno potranno essere seguiti anche dall’Indonesia. Di quest’ultima è stata notata la capacità di resistere bene alla crisi e alla pressione inflazionistica, nel 2009 ha mantenuto l’aumento dei prezzi entro un +4,5%. Nel 2010 forti preoccupazioni si hanno sui tassi di cambio. Molti economisti si stanno confrontando sui giornali di tutto il mondo sul valore di cambio dello Yuan cinese, stimato eccessivamente sottovalutato rispetto al suo valore reale. Questa sottovalutazione porta a un ampliamento dell’esportazioni di quel paese con incrementi a 2 cifre dei surplus commerciali e distorsioni nella sostenibilità nel lungo periodo di una ripresa economica.

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