martedì 18 maggio 2010

Euro al minimo

Nel panorama delle notizie pubblicate dai media di questi giorni si nota un cambio sostanziale di prospettiva. Finchè non scoppiava la crisi della Grecia, con accenni di contagio verso il Portogallo e la Spagna, sembrava che tutti i problemi italiani dovuti alla bassa crescita venissero da una dinamica molto bassa della produttività, dai lacci e lacciuoli che imbrigliano lo sviluppo dell’ Italia, per la mancanza di adeguate strutture logistiche e così via. Poi la crisi politica, gli scandali, le dimissioni del Ministro delle Infrastrutture Scajola, poi la crisi dell’Euro, la sua discesa, e finalmente il salto d’orgoglio dei leaders europei, che di fronte ai grandi speculatori hanno finalmente deciso di non chinare il capo, ma d’incominciare veramente a pensare all’Europa come l’Unica Entità che ha le dimensioni per poter affrontare i colossi che oggi operano nel mondo come la Cina, gli Usa, la Russia, l’India, il Brasile e il Giappone. Sono tutti Player’s per dimensioni e capacità propulsive che i paesi europei divisi non potranno mai affrontare per un confronto alla pari. Intanto una valutazione tutta interna all’Italia della difficoltà del momento vanno fatte. Due imprenditrici, che vanno per la maggiore, hanno gentilmente rifiutato il posto di Ministro in questa compagine governativa. Si trattava di persone come la Presidente della Confindustria e di un’altra imprenditrice che avrebbero potuto apportare, con la loro esperienza una buona spinta alla compagine governativa. L’altra valutazione, sempre dal mondo imprenditoriale viene dal cauto ottimismo che il ribasso della moneta unica, che va giù rapidamente dopo anni di supereuro, fa loro tirare un cauto sospiro di sollievo. Sono moltissime le medie imprese manifatturiere beneficiarie del nuovo corso della moneta unica, in Confindustria si calcolano circa 5000 le aziende con una fatturato tra 12 e 300 milioni di euro, per lo più dislocate al Centro-Nord ,che con i loro 650 mila addetti sono le più attive nell’ esportazione del made in Italy. Dunque, per dirla con il capo economista di Intesa San paolo, Gregorio De Felice, l’euro debole "è un fattore positivo per Paesi esportatori come l’Italia e la Germania", e una valuta più debole "non deve essere vista come una cosa drammatica, ma positiva per le esportazioni: è un indebolimento che sta in un processo di riaggiustamento degli squilibri, è il commento concorde di Marco Valli, a capo della ricerca italiana di UniCredit. In verità i primi effetti dell’euro debole, si sono già visti in Germania che, nell’emissione del dato preliminare sul Pil del primo trimestre 2010 ha valutato un rialzo dello 0,2% rispetto al trimestre precedente. Un dato al di sopra delle aspettative, nonostante il maltempo avesse fermato gran parte dei cantieri, e invece quello 0,2% sarebbe figlio della prima discesa dell’euro, passato dall’ 1,43 di inizio anno a 1,38 dollari di fine marzo, che ha favorito l’export. Stesso buon risultato anche per l’Italia, seconda economia manifatturiera del Vecchio Continente, che, secondo qualche analista, potrebbe giustificare il +0,5% preliminare dello stesso primo trimestre con il traino dell’export tedesco, di cui l’Italia è il primo partner commerciale, una specie di grossista insomma. Ma poiché non c’è solo la Germania, come grande importatrice di prodotti italiani, del calo dell’Euro si avvantaggia tutto l’export diretto verso i paesi non euro, che nei primi tre mesi vale circa 30,7 miliardi di €, pari al 41% del totale. Il cosiddetto “made in Italy” che trova nelle citate medie imprese il nocciolo duro, generano tra i 25 e i 30 miliardi di fatturato l’anno (poco meno della metà dell’export totale) in paesi non euro e gioca le sue carte principalmente in quattro settori: automazione e meccanica, arredamento e design per la casa, abbigliamento e moda, alimentare. Secondo diversi economisti, poi, l’indebolimento dell’euro potrebbe aiutare a sostenere una crescita messa a dura prova da una incipiente politica di rigore, con i maggiori ricavi derivanti dall’export delle imprese che riescono a sfruttarlo. Per concludere, forse qualche nostro economista avrebbe anche potuto valutare che un cambio Euro/dollaro a 1,5955, perché questo è stato il massimo toccato nel corso del 2009 poteva essere oltremodo debilitante per l’economia italiana ed europea. Va bene il rigore, i bilanci statali in ordine, ma questo deve valere per tutti anche per quelle economie che come gli USA e UK hanno un debito pubblico 3 - 4 volte l’Italia. Sono in molti a pensare che le prossime preoccupazioni possano venire dalle monete di questi paesi, perché i debiti da pagare sono una cosa seria, nonostante le AAA.

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